Three On A Match

Mervyn Leroy

Sog.: John Bright, Kubec Glasmon; Scen.: Lucien Hubbard; F.: Sol Polito; Mo.: Ray Curtiss; Scgf.: Robert Haas; Co.: Orry-Kelly; Mu.: Leo F. Forbstein; Int.: Virginia Davis (Mary Keaton Da Bambina), Joan Blondell (Mary Keaton), Anne Shirley (Vivian Revere Da Bambina), Ann Dvorak (Vivian Revere Kirkwood), Betty Carse (Ruth Wescott Da Bambina), Bette Davis (Ruth Wescott), Warren William (Robert Kirkwood), Lyle Talbot (Michael Loftus), Humphrey Bogart (Harve), Allen Jenkins (Dick), Edward Arnold (Ace); Prod.: First National Pictures, Warner Bros. Pictures; Pri. Pro.: New York, 28 Ottobre 1932; 35mm. D.: 63′. Bn.

 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Al di là della vicenda, con una brutale franchezza da “action painting”, qui si parla della Grande Crisi. Si cita il rapimento di Baby Lindbergh, i suicidi tipici dell’epoca e ovviamente i meccanismi crudeli che oppon­gono ricchezza e povertà, con esempi di tutte le classi sociali compre­so uno splendido ritratto del mondo degli affari e un titolo di giornale che recita: “Si rischia la guerra mondiale nel conflitto tra Cina e Giappone” – nel 1931! Siamo continuamente stupiti dalla generosità di questo film, con un trio di amici d’infanzia (Bette Davis, Ann Dvorak, Joan Blondell) e poi Edward Arnold, Humphrey Bogart, Warren William e tanti altri (uomini, donne, soubrette, senzatetto, umili operai, tutti ritratti in un breve attimo e per l’eternità). Naturalmente è una festa di dialoghi “hard boiled”, ma sempre in equilibrio tra sentimenti nascosti e sensibilità. La velocità è mozzafiato, come sempre nei film di Mervyn LeRoy di questo periodo, e viene evidenziata allo stesso modo in film come Five Star Final, Two Seconds o Hard to Handle – velocità a cui contribuisce lo splendido montaggio di Slavko Vorkapic e che diviene quasi protagonista del film, contribuendo a un senso di ‘presente’. (È interessante il fatto che quando LeRoy più tardi passa alla MGM inizia a lavorare quasi al rallentatore). Tutto è raccontato in 63 febbricitanti minuti che riescono a dire quanto un film di oggi in due ore e un quar­to. È grazie a questo senso della velocità che anche i cliché diventano importanti verità e il fragile equilibrio fra struttura organizzata e caos produce un documento essenziale su quell’epoca, dal ritmo significati­vo anche al di là della trama e del soggetto.

Peter von Bagh

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