Three Comrades
Sog.: dal romanzo omonimo di Erich Maria Remarque. Scen.: Francis S. Fitzgerald, Edward E. Paramore Jr. F.: Karl Freund, Joseph Ruttenberg. M.: Frank Sullivan. Scgf.: Cedric Gibbons. Mus.: Franz Waxman. Int.: Robert Taylor (Erich Lohkamp), Margaret Sullavan (Patricia Hollmann), Franchot Tone (Otto Koster), Robert Young (Gottfried Lenz), Guy Kibbee (Alfons), Lionel Atwill (Franz Breur), Henry Hull (dottor Heinrich Becker), Monty Woolley (dottor Jaffe). Prod.: Joseph L . Mankiewicz per MGM. Pri. pro.: 2 giugno 1938. 35mm. D.: 98′. Bn.
Scheda Film
Il passaggio […] dal testo alle immagini – da Remarque a Borzage – ha provocato numerosi slittamenti semantici, di cui uno dei più singolari risulta dalla funzione dello spazio (come illusione legata alla corporalità) in rapporto a quella del tempo (superiore perché più immediatamente legata al mondo sottile e psichico) nella prospettiva di un itinerario spirituale. Tutto in Three Comrades tende a obliterare lo spazio ben definito come luogo geometrico dell’azione. Già la prima inquadratura relativizza la realtà spaziale con la sua qualità espressionista e stabilisce una sorta di gerarchia cosmica, perché, al di sopra dei baraccamenti militari, nel cielo si staglia in gigantesche lettere di fuoco la data dell'”11 novembre 1918″. Forse siamo in un luogo imprecisato, ma non in un’epoca qualsiasi. Gli eventi non si situano in nessun luogo geografico particolare. È presumibile che ci si trovi in Germania perché le uniformi e i nomi sono tedeschi e Erich augura di “bere champagne da Amburgo a Monaco”. Ma l’azione si svolge ‘in città’, ‘al mare’ o ‘in montagna’; la città (troppo provinciale per essere identificata in Berlino o Amburgo) è a duecento chilometri dal mare e a soltanto qualche ora dalle Alpi; la geografia è quindi immaginaria. L’America del Sud rappresenta l”altrove’, in tutti i sensi del termine. Borzage elimina tutto ciò che è estraneo alle preoccupazioni dei suoi personaggi e, senza alcun imbarazzo, utilizza come sfondi dei paesaggi dipinti, dei trasparenti, degli stucchi da studio immersi in una luce improbabile, in breve, degli artifici che teatralizzano le situazioni (conservando, al tempo stesso, un minimo di verosimiglianza, contrariamente a Liliom): il visibile non è altro che una facciata, che diviene sempre meno un ostacolo fisico. La lontananza spaziale non esiste davvero, non è un caso se le conversazioni telefoniche fra Pat ed Erich avvengono sempre in split screen. La dissolvenza incrociata che passa da Pat a destra dell’albero di Natale al sanatorio, a Erich a destra di un albero a casa di Alfons, suggerisce il legame che unisce i protagonisti al di là dei chilometri. All’altro estremo, tutto concorre per evocare la fuga del tempo, poiché si tratta di morti in attesa […]. “L’estate è così breve” esclama Pat e da grande romantico suo pari, Borzage investe il tempo di una forza ‘mistica’: le stagioni sfilano, il vento soffia sugli alberi, trascina le foglie, l’obiettivo segue un giornale al volo per fissarsi su una data con una precisione letale: “20 ottobre 1920” (l’ingresso in sanatorio).
Hervé Dumont, Frank Borzage – Un romantique à Hollywood, Actes Sud-Institut Lumière, Arles-Lyon 2013