THERESE RAQUIN

Marcel Carné

Provini d’attore. 35mm

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Il lato sommerso del cinema.
La mia curiosità per le immagini dimenticate della storia del cinema, le sue pretese “scorie”, è stata fin dall’inizio legata a un interesse per quei film ai margini degli schemi tradizionali tracciati da Sadoul e Mitry. Ho sempre preferito Francis Lacassin, la cui Contre Histoire du cinéma (Parigi, Union Générale d’Editions, 1972) è stata per me una sorta di rivelazione, tanto più che per un provinciale era impossibile vedere la maggior parte dei film citati. Più tardi, quando sono arrivato a Parigi, il mio incontro con Raymond Chirat ha alimentato una passione crescente, quella per il cinema muto francese.
Il mio lavoro su due misteriosi film di Camille de Morlhon, La Dette de l’aventurière (1914, mai uscito, ritrovato dalla Cinémathèque Française, ora in corso di restauro ad opera di Renée Lichtig) e Le Roman du tzigane (incompiuto) ha rappresentato la prima concretizzazione delle mie curiosità per i “dimenticati” della storia del cinema, qualunque sia il loro valore, per i film incompiuti, per i provini, per i frammenti… Ma come identificarli, ritrovarli? Gli archivi possiedono poco che serva a identificare quelle scatole misteriose, talvolta riposte con cura nei loro scaffali da decenni.
Di questi film, tutt’al più, si conosce l’esistenza tramite qualche repertorio o catalogo, o da qualche citazione nei testi di storia del cinema. Se è vero che meriterebbero di per sé una storia parallela, al di fuori di qualsiasi contesto, la loro forma incompiuta a quale tipo d’analisi si presta? E come affrontarla?
Uno dei piaceri più segreti degli archivisti è la scoperta sensazionale, il film mitico ritrovato in un inventario. Ma c’è anche il piacere di maneggiare una pellicola che forse nessuno ha mai toccato, ha mai guardato. In quel momento, allora, nel buio, davanti allo schermo della moviola, si stabilisce una complicità tra il primo spettatore e quelle sequenze mai montate, testimoni di un momento di cinema unico e privilegiato che si rivela, al di là del suo valore estetico.
Oltre questa relazione tattile, legato all’interesse storico inerente a questo genere di film, sorge in seguito il desiderio di comunicare questa esperienza agli altri, di renderli partecipi di una scoperta senza per questo tradirla. Perché la storia del cinema dovrebbe eternamente consistere di opere compiute, montate e presentate al pubblico? Queste immagini (di cui alcune, certamente, insignificanti) sono talvolta tanto espressive quanto quelle di un film vero e proprio. Ma non dobbiamo per questo cadere nell’idolatria della bobina perduta, unica o sconosciuta. La presentazione di queste immagini deve essere preparata e contestualizzata, per non degenerare nella mania dell’immagine colta, difetto giornalistico che nulla ha a che vedere con la storia del cinema. Queste immagini devono servire a un più generale approccio, che rifiuta una storia del cinema preconfezionata, con il suo sacro santo “corpus” immutabile. Non bisogna, pertanto, immaginare una rivoluzione dei metodi d’approccio alla storia del cinema basata sul semplice apporto di immagini eterogenee, ma queste ultime devono essere studiate secondo criteri da definirsi, che non hanno nulla a che vedere con l’analisi testuale corrente. Dunque, soltanto gli archivi, in collaborazione con gli storici, sono in grado di portare a termine questo impegno, che ancora non ha (fortunatamente) nessun “metodo” prestabilito: il suo aspetto singolare, tra cartesianismo ed empirismo, ne costituisce la principale attrattiva. (Eric Le Roy)