SUMURUN

Ernst Lubitsch

Sc.: Hanns Kräli, Ernst Lubitsch, dalla pantomima di Friedrich Freksa. F.: Theodor Sparkuhl. Scgf.: Kurt Richter, Emò Metzner. M.:Victor Hollaender. In.: Pola Negri (la danzatrice), Jenny Hasselquist (Zuleika “Sumurun”), Aud Egede Nissen (Haydée), Paul Wegener (il sultano di Bagdad), Carl Clewing (il figlio del sultano), Harry Liedtke (Nur-al-Din), Margarete Kupfer (Baba), Ernst Lubitsch (Abdullah), Jacob Tiedtke (l’eunuco), Paul Biensfeldt (Ahmed), Paul Graetz, Max Kronert. P.: Union-Ufa. D.: 110’. 35mm. 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Questa fantasia orientale visionaria, omaggio al genio di Max Reinhardt, è l’ultima interpretazione di Lubitsch; la sua prova attoriale è quantomeno memorabile: deformato dal trucco, impersona il ruolo di un attore girovago, gobbo e lascivo; perdutamente (e teneramente) innamorato della bella Pola Negri, per non perderla si suiciderà (naturalmente salendo sulla scena), per poi rinascere, qualche ora dopo, con una danza scatenata e liberatrice. Al suo fianco una luminosa Pola Negri, così descritta da Helmut Prinzier: “Capelli neri, occhi scuri, un corpo lascivo, una voce intensa. Un’apparizione esotica, una vamp. Pola Negri, dal 1918- al 1928, è una vera star; molte storie circolano sul suo conto, storie a cui non si è obbligati a credere. Nata nel 1897, in Polonia, frequenta una scuola di balletto; esordisce sulla scena giovanissima, e sullo schermo ad appena diciassette anni, con il nome di Pola Negri. A Varsavia danza nella pantomima Sumurun. Arriva a Berlino nel 1917, viene assunta da Max Reinhardt (che le fa recitare il ruolo della danzatrice in una nuova messinscena di Sumurun), lavora in vari film. Conosce Paul Davidson e Ernst Lubitsch” e, diretta da quest’ultimo, raggiunge un grande notorietà interpretando, tra l’altro, Carmen, Madame Dubarry, Sumurun, Die Bergaize, Die Flamme. Per lungo tempo Sumurun è stato conosciuto attraverso copie largamente incomplete e censurate. Grazie alla versione ritrovata presso la George Eastman House, Patalas ha potuto reinserire le scene mancanti dalla copia standard, come ad esempio quella straordinaria del ballo.

Aljoscha Zimmerman ha preparato per Il Cinema Ritrovato una partitura per quintetto ispirata ai temi musicali della pantomima di Freska.

Sumurun, favorita del sultano di Bagdad, è innamorata di Nur-al-Din, il quale, con uno stratagemma, riesce ad incontrarsi con lei, malgrado la sorveglianza degli eunuchi. Anche il figlio del sultano ama la bella Sumurun. In città arriva una troupe di girovaghi, con una danzatrice bellissima. Il sultano, incuriosito, invita la danzatrice nel suo harem; ma la donna è amata da un clown gobbo, Abdullah, che non si rassegna a perderla e la segue a palazzo. Intanto Sumurun, con l’aiuto di Haydée, un’altra favorita del sultano, si incontra di nuovo con Nur-alDin. Il sultano scopre la danzatrice tra le braccia del figlio e, accecato dall’ira, la strangola, ed altrettanto vorrebbe fare con Sumurun, sorpresa insieme al suo amante. Ma Ahdullah, che ha visto morire la danzatrice, pugnala il sultano. Le donne dell’harem ora sono libere, le porte della prigione si spalancano; e Sumurun può unirsi per la vita a Nur-al-Din. Il film avrebbe dovuto essere realizzato da Max Reinhardt, che più volte aveva rappresentato sui palcoscenici tedeschi la celebre pantomima di Freidrich Freska; quando il progetto venne accantonato, fu Pola Negri a proporre a Lubitsch di curarne la realizzazione. Il film non piacque a molti recensori ed anche qualche storico arricciò il naso dinanzi a questa fantasia orientale, riscontrandovi “il più pesante esotismo da melodramma fuso col più esecrabile gusto del lubrico in chiave di buffoneria”, mentre Lotte Eisner, mai troppo tenera con Lubitsch, a proposito del film rileva come Sumurum sia fortemente improntato dallo stile del regista: “In Sumurum Lubitsch stesso, nella parte di un goffo buffone tragico, si lancia in una danza bizzarra, tutta a balzi, automatica, in cui braccia e gambe sembrano animate da una vita indipendente; l’ispirazione gli deriva da quell’aspetto caleidoscopico da commedia dell’arte cui minava nella scena la celebre pantomima. Qualche passaggio di Sumurum fa già prevedere l’eleganza del futuro Lubitsch americanizzato:  nella bottega di un mercante, per esempio, dei commessi-clown (sempre in connivenza con il pubblico, come il loro regista) spiegano e sciorinano ricche stoffe, con gesti da prestigiatori. Derivano parimenti dal “Lubitsch-touch” quelle riprese dall’alto di qualche cuscino disposto su un tappeto, dal quale bruscamente fugge disperdendosi in leggiadri cerchi il nugolo delle graziose cameriere affaccendate. Il film di music-hall americano si ispirerà a questi delicati arabeschi”.

Francesco Savio lo definisce il film forse più enigmatico del regista berlinese, con i suoi décors di una   violenza quasi visionaria, la recitazione di canone espressionistico e la tetra ferocia del libretto. È indubbio che il film sta a metà strada tra il capriccio esotico e il grand-guignol adattato alle Mille e una notte. Una nota curiosa: quando il film arrivò in Italia, nel marzo del 1922, il titolo divenne Sumurum , con la “m” finale al posto della “n”. La critica italiana lo accolse con sufficienza (“Una stupenda tessitura di lavoro, magnificamente inquadrato ed inscenato, nonché indiscutibilmente curato anche fotograficamente, ma che ci ha un pochino stuccati per la sua prolissità”); il Consorzio Utenti Cinematografia Educativa, ovverossia la prima versione del Centro Cattolico Cinematografico, lo ritenne escluso per tutti, trattandosi di un grottesco romanzo erotico.

(Vittorio Martinelli)

Copia proveniente da