PICNIC AT HANGING ROCK

Peter Weir

Sog.: dal romanzo omonimo (1967) di Joan Lindsay. Scen.: Cliff Green. F.: Russell Boyd. M.: Max Lemon. Scgf.: David Copping. Int.: Rachel Roberts (Mrs. Appleyard), Vivean Gray (Miss McCraw), Helen Morse (Mlle. de Poitiers), Kirsty Child (Miss Lumley), Tony Llewellyn-Jones (Tom), Jacki Weaver (Minnie), Frank Gunnell (Mr. Whitehead) Anne-Louise Lambert (Miranda), Karen Robson (Irma). Prod.: Hal McElroy, Jim McElroy per McElroy & McElroy, British Empire Films Australia, The South Australian Film Corporation, The Australian Film Commission, Picnic Productions Pty. Ltd. 35mm. D.: 107’. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Abbiamo lavorato molto duramente per creare un ritmo allucinato e ipnotico, così da far perdere la consapevolezza degli eventi. Ci si ferma per fare il punto e si piomba in quell’atmosfera così chiusa. Ho fatto tutto quello che potevo per ipnotizzare lo spettatore e tenerlo lontano da ogni possibile spiegazione.

Peter Weir, in Jan Dawson, Picnic Under Capricorn, “Sight and Sound”, primavera 1976

 

Quel che più stupisce, in un film basato sul vuoto, sull’assenza e la deliberata cancellazione (“nel giorno di San Valentino del 1900 – dice una didascalia iniziale – le ragazze di un collegio femminile si recarono in gita sulla formazione vulcanica nota come Hanging Rock: alcune non fecero mai ritorno”) è la ricchezza quantitativa di ‘segni’, di ‘chiavi’ che il film stesso dissemina, quasi a illuderci di volerci portare nel cuore del labirinto. […] La violenza latente, in questo film che è anzitutto uno studio sulla repressione, minaccia di esplodere quando il reale non offre più alcun ‘segno’, alcun appiglio, come la superficie scabra di Hanging Rock: sarà la scena in cui il sergente, avvertendo l’atmosfera di linciaggio incipiente, rimanda a casa i passanti, o quella in cui Irma, l’unica superstite, ritorna a scuola, e per il suo silenzio viene aggredita dalle altre nella palestra. Al contrario, culmine e cuore segreto della vicenda saranno le scene in cui il ragazzo inglese, Mark, si reca sulla montagna per cercare anche lui le ragazze, e lascia labili segnali del suo passaggio, come nella fiaba di Pollicino, per poi trasmettere segretamente, nel pugno serrato, un ‘segno’ privilegiato all’amico Albert: un frammento di pizzo dal vestito di Irma. Mark è Dominic Guard, il piccolo go-between loseyano divenuto adolescente: ma il suo ruolo è ancora quello di un ‘intermediario’, che comunica messaggi e frammenti di discorsi altrui: intorno a lui, nel collegio e nella casa che lo ospita, anch’essa più che mai loseyana, un’Inghilterra ottocentesca cerca di decifrare quei messaggi, di celebrare i propri riti di classe e di razza, di restare eroicamente fedele ai propri pregiudizi, in una terra ostile che ha anch’essa il suo linguaggio e i suoi messaggi meno decodificabili.

Guido Fink, “Bianco e nero”, marzo-aprile 1977

 

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Copia proveniente da Acid Pictures.
Restaurato in 4K nel 2022 da Acid Pictures in collaborazione con Second Sight Films presso il laboratorio The Grainery, a partire dal negativo camera originale conservato presso Australian National Film and Sound Archive