Pettersson & Bendel

Per-Axel Branner

T. it.: Petterson e socio. Sog.: dall’omonimo romanzo di Waldemar Hammenhög. Scen.: Per-Axel Branner, Gunnar Skoglund. F.: Åke Dahlqvist. Mo.: Rolf Husberg. Scgf.: Arne Åkermark. Mu.: Eric Bengtson. Int.: Adolf Jahr (Karl-Johan Pettersson), Semmy Friedmann (Josef Bendel), Birgit Sergelius (Mia Edling), Isa Quensel (Elsa Velin), Helge Hagerman (Helmer Andersson), Viran Rydkvist (zia Lindström), Elsa Carlsson (Agda Alvin). Prod.: Svensk Filmindustri (SF), Wivefilm. Pri. pro.: 12 settembre 1933 35mm. D.: 108’. Bn.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Una conseguenza fatale della Depressione fu il diffondersi dell’antisemitismo. Ci vol­le tempo prima che quel tema occupasse una posizione rilevante nel cinema tede­sco, e dunque fu un modesto film svedese ad avere il discutibile onore di essere il ‘primo’: la sua caricatura degli ebrei, uno stereotipo ben consolidato nel mondo dello spettacolo europeo, assunse infatti dimen­sioni nuove e potenzialmente malevole. Le scene iniziali a bordo di una nave pun­tano già in questa direzione. Bendel sem­bra una specie di topo, e il suo modo di toccare i soldi offre subito ulteriori conno­tazioni. Al suo amico Pettersson piacciono le belle donne, a lui il denaro. Seguono ulteriori stereotipi: Bendel tratta ironica­mente gli svedesi perché odiano il denaro; per lui la bellezza dei quadri non conta, importa solo il prezzo. Per-Axel Branner era un buon professio­nista e la sua descrizione della Svezia ai tempi della Depressione è convincente. All’epoca la caricatura degli ebrei era solo un ulteriore dettaglio della vita quotidiana. Perciò Petterson & Bendel, che oggi as­sume ben altre sfumature tenendo conto di più vaste e gravi minacce, per i gior­nali svedesi dell’epoca – moderatamente divertiti dalle avventure di due scrocconi scalognati in tempo di crisi – era una cosa da nulla. Ci fu però un’eccezione degna di nota: il migliore critico di allora, Bengt Idestam-Almqvist (che si celava sotto lo pseudonimo di Robin Hood), manifestò una “profonda insoddisfazione”: “Bendel è la sola figura artificiosa del film. Ebreo cacciato a forza in un’ambientazione svedese, è una polveriera ambulante, un mascalzone. Trattandosi di uno dei prota­gonisti, è adeguatamente dipinto come un ebreo sporco, irsuto, repellente, briccone, vale a dire un figuro controverso, proprio come la stampa, ispirandosi all’ostracismo messo in atto da Hitler, ama presentare gli israeliti. Semmy Friedmann esaspera i tratti ebraici del suo personaggio, esage­rando inutilmente la natura stereotipata di Bendel. A mio parere, la sua interpretazio­ne è uno dei punti deboli del film”.

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