PAREN’ IZ TAJGI
[Il ragazzo della Taiga] T. int.: The Lad from the Taiga. Scen.: Alksandr Filimonov, Vadim Distler. F.: Aleksej Solodkov. Scgf.: Viktor Ivanov. Ass. regia: G. Namoradze. Tichij Don 227 Mus.: Aleksandr Varlamov. Su.: Vladimir Bogdankevič. Autore dei testi delle canzoni: Boris Laskin. Int.: Ivan Pereversev (Stepan Potanin), Vladimir Gardin (Fëdor Potanin), Alla Kazanskaja (ingegner Polevaja), Ljudmila Zankovskaja (Njurka), Rostislav Pljatt (Vas’ka Ščerbak), Michail Deržavin (direttore della miniera), Aleksandr Čeban (segretario del comitato distrettuale), Pavel Geraga (Prochor), Pëtr Repnin (attore), Nikolaj Čindorin (guardiano), Viktor Tret’jakov (ingegner Kol’cevator), Alksandr Duletov (Kolymčanin), Michail Vorob’ëv (Solomatin), Vladimir Ural’skij (Frol), Georgij Svetlani (cameriere), Nikolaj Chrjaščikov (ingegnere). Prod.: Mosfil’m. Pri. pro.: 12 maggio 1941. 35mm. D.: 100’. Bn.
Scheda Film
Il ragazzo della Taiga è l’ultimo film della coppia Preobraženskaja-Pravov (a parte il cortometraggio perduto Putevaja obchodcˇica). È un’opera confusa ed eclettica, ma a suo modo toccante nel tentativo dei registi di difendere il loro mondo cinematografico. La taiga, citata nel titolo, è il luogo in cui si svolge l’azione, e una parte sostanziale delle scene fu davvero girata in esterni. Nel 1941, però, il cinema sovietico si era ormai chiuso nei teatri di posa. I personaggi costruiti per soddisfare i requisiti del realismo socialista e le leggi del ‘dramma ottimistico’ (forse il principale benché discutibile contributo degli anni Trenta sovietici al sistema mondiale dei generi cinematografici) non potevano reggere alla prova della natura. Il teatro di posa a quel punto poteva essere giustificato dagli sviluppi narrativi oppure ‘estraniato’ secondo la lezione formalista. Gli autori di Paren’ iz tajgi cercarono di fare entrambe le cose. Innanzitutto spostarono gli episodi drammatici fondamentali in ambienti chiusi. Nella trilogia rurale l’impeto delle passioni travolgeva tutto: uomini, animali, fiumi. Il ragazzo della Taiga conclude un’altra trilogia cominciata con La città luminosa e proseguita con Odna radost’. È un dramma da camera delle passioni. Se nella contrapposizione sono coinvolte solo due o tre persone, lo spazio chiuso la rende più intensa. Il film è costruito proprio sulle contrapposizioni, e gli attori sono scelti di conseguenza. La galleria di vecchi testardi che abita i film di Preobraženskaja e Pravov si chiude qui con il personaggio del cercatore d’oro individualista efficacemente interpretato dall’ex marito e maestro della Preobraženskaja, Vladimir Gardin. Il vecchio cercatore d’oro si trasforma però infine in uno stakanovista modello, perdendo carattere e verosimiglianza, e si scopre che la prestanza di Pereversev è dovuta a quattro panciotti indossati uno sopra l’altro… L’impetuosa Cesarskaja trova una sostituta nella giovane attrice teatrale Ljudmila Zankovskaja, che non apparirà più sullo schermo. E per quanto riguarda le eroine destinate a morte violenta, necessario contrappeso drammatico nei film muti, al posto di Rajsa Pužnaj troviamo qui la sicurezza mascolina e priva di fascino di Alla Kazanskaja, che dichiara esplicitamente: “Non sono una donna, sono un ingegnere”. Allo straniamento invece contribuisce il jazz, sorprendente nel paesaggio della taiga e insolito per il cinema sovietico d’anteguerra. Furono proprio Preobraženskaja e Pravov ad avvicinare al cinema il compositore Aleksandr Varlamov, direttore di una celebre orchestra jazz: il musicista debuttò nel loro primo film sonoro (e vietato) Odna radost’ (1933). Il jazz conferisce al dramma sfumature ironiche: ma più si avvicina il finale, più il jazz e le passioni cedono il passo a dialoghi che esaltano il lavoro intensivo sullo sfondo della taiga, in scene che esitano tra realismo e artificio.
Pëtr Bagrov