Pandora and the Flying Dutchman
T. it.: Pandora; Scen: Albert Lewin; F.: (Technicolor) Jack Cardiff; Mo.: Ralph Kemplen, Clive Donner (non accreditato); Scgf.: John Hawkesworth; Co.: Beatrice Dawson; Mu.: Alan Rawsthorne; Su.: Harry Miller, Alan Allen; Effetti speciali: W. Percy Day; Int.: James Mason (Hendrick van der Zee), Ava Gardner (Pandora Reynolds), Nigel Patrick (Stephen Cameron), Harold Warrender (Geoffrey Fielding), Sheila Sim (Janet Fielding), Marius Goring (Reggie Demarest), John Laurie (Angus), Mario Cabré (Juan Montalvo), Pamela Kellino (Jenny), Patricia Raine (Peggy), Margarita D’Alvarez (Senora Montalvo), La Pillina (danzatrice spagnola), Abraham Sofaer (giudice), Francisco Igual (Vicente), Guillermo Beltrán (barista), Lilli Molnar (la governante di Geoffrey), Phoebe Hodgson (sarta); Prod.: Albert Lewin e Joseph Kaufmann per Dorkay Productions/Romulus Films/Metro-Goldwyn Mayer; Pri. pro.: 15 ottobre 1951 35mm. D.: 122’ Col.
Scheda Film
Per Albert Lewin, braccio destro di Irving Thalberg alla MGM negli anni Trenta e quindi produttore in proprio alla Paramount, questo fu il quarto di sei film firmati in qualità di regista, di tutti il più personale e irregolare. Pandora and the Flying Dutchman partecipa in vari modi a quella ricerca del meraviglioso, figurativo e cromatico, che interessò la Hollywood dei primi anni Cinquanta, ma nessun altro film dell’epoca scelse di raffreddare il proprio onirismo in una cifra così luttuosa. Messinscena d’una cupa predestinazione amorosa (la vita di entrambi gli amanti è costellata di morte) e d’un turbamento soprannaturale, il film produce disorientamento già confondendo tempi e indici iconografici; siamo negli anni Trenta, ma le ampie gonne fruscianti, gli stretti bustier di raso giallo o turchese, la sciarpa verde sulle spalle nude di Pandora sono una squisita galleria del gusto anni Cinquanta; siamo negli anni Trenta e le notti sono
tenere, ma la luna fitzgeraldiana illumina spiagge punteggiate di statue classiche e di colonne spezzate. Vaghe atmosfere dell’età del jazz (sulla sabbia si balla sulle note
di You’re Driving Me Crazy) si perdono senza eco in un set surrealista, tra citazioni di De Chirico e Dalí. Al clima visivo contribuisce in modo decisivo il talento di Jack Cardiff, che, chiuso il sodalizio con Powell e Pressburger, portava a Hollywood il suo uso saturo e sensuale del Technicolor; qui fa brillare d’inchiostro gli sfondi d’un film soprattutto notturno e l’onda dei capelli di Ava Gardner. Film d’un produttore di professione, Pandora and the Flying Dutchman esibisce una regia tutt’altro che povera di stile: suo tratto ricorrente, fino a produrre un effetto lievemente ossessivo, è una breve carrellata quasi impercettibile che, in avvicinamento, scontorna i volti dal loro sfondo e li trasfigura in un alone irreale, e quando arretra svela sempre qualcosa di inatteso, di fuori scala: una spettacolare terrazza sul mare, il braccio mozzo d’una statua. Quel che di più straordinario la macchina da presa scopre, in un magnifico movimento iniziale, è però il profilo immobile di Ava Gardner: perché Pandora and the Flying Dutchman è anche la calcolata celebrazione divistica dell’autentica Venere hollywoodiana di quel giro d’anni. Possiamo preferirla nella fragrante giovinezza di The Killers, o nel camp fiammeggiante di The Barefoot Contessa (che peraltro, anch’esso fotografato da Cardiff, deve moltissimo al film di Lewin). Ma è vero che lo splendore di Ava Gardner è il nutrimento di questo film, splendore carico di tracce d’epoca: il disegno delle labbra rosse, la perfezione levigata dell’incarnato. L’olandese volante di James Mason pare un poco passivo davanti a tanta bellezza carnale e spirituale, ma i suoi dodici minuti di monologo in voce over, mentre il flashback illustra l’antico uxoricidio e i soffitti s’abbassano con evidente debito wellesiano, restano un pezzo pregevole dell’antica arte del recitare. Pandora e the Flying Dutchman si perse tra i tanti colori, i tanti formati, le tante pulsazioni melodrammatiche degli anni Cinquanta, e la critica fu severa. Piacque invece ad Ado Kyrou, che gli dedicò parole entusiaste (“da esteta, Lewin proclama la sua fede selvaggia nell’amore”). E certo resta, come scrisse Pauline Kael, “one of a kind”, film unico, sincretista ed eccentrico, a suo modo irripetibile.
Paola Cristalli
Per concessione di Douris Corporation
Restaurato da George Eastman House e Film Foundation presso Cineric, Inc. di New York, a partire da dei positivi master del 1951, trattati fotochimicamente con il sistema Cineric Single Pass, che ha permesso di registrare nuovamente i dati sul colore e lavorare i separati negativi. Graffi e sporco sono stati rimossi grazie alla scansione in 4K. La colonna sonora è stata completamente restaurata da Audio Mechanics (Burbank, California). Il restauro è stato possibile grazie alla collaborazione di The Film Foundation, la Festa del Cinema di Roma, il Franco-American Cultural Fund, un’associazione formata da: Directors Guild of America (DGA), Société des Auteurs, Compositeurs et Editeurs de Musique (SACEM), Motion Picture Association of America (MPAA) e Writers Guild of America, West (WGAW)