PADENIE BERLINA

Mikhail Ciaureli

R.: Mikhail Ciaureli. Sc.: P. Pavlenko, M. Ciaureli. F.: L. Kosmatov. M.: Dmitrij Sostakovic. Scgf.: A. Parchomenko, V. Kaplunovskij. Eff. spec.: D. Kostikov. In.: Michail Gelovani (Stalin), V. Savel’ev (Hither), B. Andreev (Aleksej Ivanov), M. Kovaleva, (Natasa Rumjanceva). P.:Mosfil’m. D.: 168’. 35mm.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

La caduta di Berlinoèstato congelato dopo il rapporto Kruscev. Da alcuni anni lo si vede in festival ed occasioni particolari,ma la copia che verrà presentata a Bologna è più lunga di quelle viste negli ultimi anni di circa un quarto d’ora; infatti Patalas ha ritrovato alcune parti mancanti da lungo tempo. Il film tratta lo sfondamento del fronte da parte delle troppe sovietichee la loro conquista della capitale tedesca. Protagonista del film èStalin; suo antagonista Hitler. Pertanto compaiono come personaggi della vicenda le piùalte personalitàdel regime sovietico, a cominciare da Molotov, nonchéi massimi gerarchi nazisti, oltre Churchill e Roosvelt.L’amore di un fonditore, benemerito del regime, per una maestra e le loro alterne vicende, fino alla riunione felice in Berlino, consacrata dall’aereo di Stalin, condisce di romanzesco la ricostruzione storica. […] Il film, certamente, al di fuori della facile ironia e dell’esaltazione sprovveduta, lascia perplesso chi intende rendersi conto di uno sforzo tanto notevole, sorprendente sotto certi aspetti (la quasi perfetta imitazione di tanti personaggi storici di grande efficacia spettacolare sotto altri (le imponenti scene di battaglia), ma che comunque non riesce mai a raggiungere l’espressione poetica, nel senso della parola, nonostante l’impegno, diciamo così, “omerico”del regista”. A me il film aveva fatto l’impressione diuna serie animata di oleografie, atte a colpire l’immaginazione popolare e a creare certi miti intorno ai personaggi della storia recente. Esso, insomma, mi pareva dovesse assolvere a una funzione di propaganda presso un vasto pubblico, acceso di entusiasmo per gli uomini e il regime che lo hanno portato alla vittoria, innocente e quasi disarmato di facoltàcritiche. Ma […] mi èsembrato di capire che l’assunto èassai piùambizioso: consacrare gli eroi e le gesta di un popolo in un poema cinematograficoche possa “superare il corso stesso della storia”. Superare cioè la fatale caducitàdegli uomini: dare la possibilità a tutti, ora e in avvenire, di assistere alle azioni grandiose dei condottieri e del popolo. Un fatto storico, insomma, fatto durante la vita degli stessi protagonisti. In questo genere di realismo (che contraddicendo al vero realismo che èalla base del film, e cioèil documento fotografico, diviene fatalmente la piùsolenne falsificazione) l’arte non è la cosa piùimportante: l’unico modo, in verità, di raccomandare o, meglio, tramandare ai posteri, oltre e piùche con gli stessi documenti, la vita, gli ideali, le aspirazioni, gli eroi di un popolo”. (Luigi Chiarini in Cinema Nuovo)Nella discussione sulla critica di sinistra che si svolgeda piùdi un anno su queste co lonne, si cita spesso come caso limite negativo del cinema sovietico il film La caduta di Berlino. Ho visto La caduta di Berlinoa Mosca nel 1951. A me èpiaciuto. Tornato in Italia ne ho parlato bene, forse anche ne ho scritto. Tutti quelli che l’avevano visto, compagni o no, mi davano addosso, e io lo difendevo. Per me il film era -ed è; non mi pare d’aver da cambiare opinione -un’illustrazione dei fatti della guerra con lo stile d’un carretto siciliano o d’un cartellone del teatro dei pupi. Tutto èridotto alla stilizzazione elementare dell’epoca popolare; e Stalin, naturalmente, vi appare come Carlo Magno nei Reali di Francia. Èla storia della guerra come poteva essere immaginata da un pastore del Taskent o dell’Uzbekistan, un pastore abbonato all’Ogonek, che cerchi d’organizzare in racconto le notizie e le figure che gli arrivano. In questo senso, lo stile del film non fa una grinza; anche il colore accentua l’irrealtàdella rappresentazione (il giardino verde e rosa incui Stalin in giubba bianca accoglie innaffiando i fiori il kolkosiano sbigottito!); una sapienza formale di derivazione espressionista èsottintesa all’ostentata ingenuitàdi tutte le deformazioni grottesche. E questa coerenza riesce a creare un clima dove ogni esigenza di credibilitàèsuperata. e piùcose vedi, più grosse te le raccontano, piùti diverti t’entusiasmi, fino al finale con Hitler nelle fogne di Berlino.Devo dire che non ho mai trovato nessuno che mi desse ragione. Soprattutto, mi si obiettava che il film non l’avevano fatto cosìingenuo “apposta”, ma che l’avevano fatto “sul serio”, senza nessuna intenzione di trasfigurazione e di primitivismo. Il che èassurdo; ricordo che qualche critico lo presentava così, come un film fatto con intenzione realistiche; a questo èaddirittura impensabile. Piùsensate mi parevano le obiezioni che mi facevano certi amici molto polemici verso il comunismo sovietico. “Ti pare giusto che il capo d’uno stato socialista come Stalin venga rappresentato come uno che non puòessere visto da un semplice mortale senza che questi si spaventi come se avesse visto un elefante fuori dalla gabbia, e per l’emozione vada a calpestare le aiuole di rose cosìben curate dallo Stalin medesimo?”Io però rispondevo: “Vorrei vederevoi, di fronte a una persona dell’autoritàe del prestigio di Stalin, se non vi sentireste in soggezione. E non dimenticate che nel film la realtàèvista attraverso gli occhi del più sperduto kolkosiano…Anzi, quella scenetta m’ha colpito per la levità, l’umorismo, l’assenza d’ufficialitàcon cui i sovietici sanno rappresentare le loro massime personalitàufficiali”. Insomma, confusamente, io tendevo a fare della Caduta di Berlinoun esempio di stile popolare ricco d’invenzione poetica, in opposizione al grigiore del realismo socialista. Ripensandoci ora, cos’ho da aggiungere a queste mie opinioni? Sul film la penso ancora come prima (per quel che posso dire basandomi sui ricordi), però con la piccola differenza che lo credo un film fondamentalmente reazionario, e reazionario credo il suo linguaggio, in quanto ispirato a un modo intellettualistico, paternalistico e folkloristico di considerare il “gusto popolare”. È stato proprio questo tipo di stilizzazione, forse, il vero corrispondente stilistico dello “stalinismo”, la vera involuzione della letteratura e dell’arte progressista non solo in Urss ma in tutta Europa: una rappresentazione volutamente ingenua, come se tutto fosse visto attraverso gli occhi di anime semplici, pastorali, che vedono truculento ilmale e idillico il bene. (Italo Calvino, Difendo “La caduta di Berlino”, Cinema Nuovo, nn.120-121, 15 dicembre 1957)

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