NIEMANDSLAND
R.: Victor Trivas. S.: Leonhard Frank. Sc.: Victor Trivas, Leonhard Frank. F.: Alezander Lagorio, Georg Stlianudis. M.: Hanns Eisler, Kurt Schröder. In.: Ernst Busch (il tedesco), Renée Stobrawa (sua moglie), Wladimir Sokoloff (il giudice Schneider), Elisabeth Lennartz (sua moglie), Hugh Stephens Douglas (l’inglese), Louis Douglas, Zoe Frank, Georges Péclet, Rose Mai. P.: Resco-Filrn. D.: 83’. 35mm.
Scheda Film
Regista, soggettista, sceneggiatore, scenografo, produttore, Victor Trivas è un personaggio dalla ardua definizione: autore di due film eccellenti, ma maledetti, come Niemandsland, realizzato in Germania, ma vietato in mezzo mondo, allora refrattario al messaggio di fratellanza, e di Dane les rues, girato in Francia, Trivas è divenuto in seguito, suo malgrado, un cineasta in fuga, che non ha avuto più modo, salvo qualche sprazzo qua e là, di confermare il suo indubbio talento.
Nato a San Pietroburgo il 9 luglio 1894 da genitori svizzeri, laureato in architettura, si trasferisce in Germania, avvicinandosi al cinema in qualità di scenografo. Il suo nome compare per la prima volta nei credits di un film intitolato Die Dame aus Berlin nel 1925. Qualche anno dopo lo troviamo ancora impegnato nei “Bauten” di film firmati da registi di tutto rispetto come Pabst o lo svedese Ragner Hylten Cavallius. Nel 1929 debutta nella regia con Aufruhr des Blutes, di cui è anche autore del soggetto; l’anno dopo, con Niemandsland, una storia che ha elaborato assieme allo scrittore Leonhard Frank, si inserisce a pieno titolo in quella voga di film pacifisti come West from di Pabst, AII’ovest niente di nuovo di Milestone o Journey’s End di James Whale. Agli inizi del sonoro collabora alle doppie versioni che il russo Fedor Ozep realizza tra Berlino e Parigi, città nella quale rimane quando il nazismo, giunto al potere, mette al bando ebrei e comunisti. A Parigi, sulla base di un romanzo di J.H. Rosny adattato da Alexandre Arnoux, musiche di Hans Eisler, scenografia di Andrejeff e operatori Rudy Maté e Louis Née, realizza Dans les rues, film dal ritmo perfetto, una struggente vicenda ambientata in una Ville-Lumière che, stavolta, è fumosa e buia, con una indimenticabile interpretazione di Wladimir Sokoloff, della diafana Madeleine Ozeray e di un Jean-Piene Aumont alle prime armi. Purtroppo, la cartiera di Trivas, salvo una regia a più mani di Tovarich nel 1935, si limita in seguito a quella di sceneggiatore per altri, sia in Francia che negli Stati Uniti, che raggiunge fortunosamente dopo l’occupazione tedesca della Francia. Dopo aver sceneggiato alcuni film dell’effimero entente cordiale stabilitosi tra americani e sovietici durante la seconda guerra mondiale (The Russian Girls, Song of Russia), nel 1946 scrive il soggetto e collabora, senza apparire nei credits, alla regia di The Stranger, di Orson Welles, storia di un criminale nazista rifugiatosi in America dopo la guerra. Tornato in Germania, nel 1959 scrive, sceneggia e dirige Die Nackle und er Satan, un allucinante “horror”, con un granguignolesco Michel Simon protagonista. Le sue ultime prestazioni sono sceneggiature in collaborazione per due film svizzeri Hast noch der Söhne ja? – il titolo è un brano dell’inno nazionale elvetico – diretto da Lukas Amman sulla base del romanzo sarcasticamente progressista di Erwin Heimann, ed un giallo intitolato Die Gejagten. Victor Trivas è morto a New York il 12 aprile 1970.
Filmografia di Victor Trivas.
1925: Die dame aus Berlin, di Lorand von Kabdedo (scenografia); Die Liebe der Jeanne Ney/Giglio nelle tenebre, di George Wilhelm Pabst (sceneg. in coll.);
1928: Eva’s Töchter/Dcery Eviny / Anny…fille d’Eve (Oh, figlia d’Eva), di Karel Lamac (copr. tedesco-ceca-svizzera – scenografia); Majestät schneidet Bubiköpfe, di Ragnar Hylten-Cavallius (scen.); Der Staaisanwalt Klagt an (L’accusa) di Adolf Trotz (Scenogr. in coll.); 1929: Aufruhr des Blutes (regia e soggetto); 1931: Niemandsland (regia; sogg. in colI.); Der Mörder Dimitri Karamasoff /Les frères Karamazoff / Il delitto Karamazoff, di Fedor Ozep (scenegg. in collab.); 1932: Grosstadtnacht, di Fedor Ozep (sceneg. in collab.); Mirage de Paris/Miraggi di Parigi (versione francese del precedente: regia e scenegg.); 1933: Dans les rues (regia e sceneg.); 1935: Tovarich (regia in colI. con Jacques Deval, Jean Tarride e Germain Fried); 1939: Les otages, di Raymond Bernard (sceneg. in coll.); 1943: Song of Russia, di Gregory Ratoff (sceneg. in coll.); Three Russian Girls, di Fedor Ozep (sceneg. in coll.); 1946: The Stranger / Lo straniero, di Orson Welles (sogg., sceneg., aiuto-regia non accred.); 1950: Where The Sidewalk Ends (Sui marciapiedi), di Otto Preminger (sceneg. in coll.; 1951: The Secret of Convict Lake / Il segreto del lago, di Michael Gordon (sceneg.); 1959: Die nackte und der Satan / AI di là dell’orrore (regia, sceneg. in coll.); Hast noch der Söhne ja?, di Likas Amman (sceneg. in coll.); 1961: Die Gejag ten /Auxabois, di Max Michel (compr. svizzero-tedesca – sceneg. in coll.).
Niemandsland, conosciuto maggiormente con i titoli inglese, No Man’s Land, o francese, La zone de la mort, non ebbe vita facile in patria: uscito in prima visione il 10 dicembre 1931, ebbe recensioni che lo paragonarono a una copia sbiadita del coevo Westfront di Pabst e sottolinearono il tono declamatorio e vagamenente unanimistico del messaggio di Trivas. Ed in qualche città venne anche accolto con fischi e manifestazioni organizzate di dissenso. Il 22 aprile 1933 la Filmprüfstelle gli ritirò il visto di circolazione. In Italia non è stato mai importato. (Vittorio Martinelli)
Non a caso, tra il 1929 e il 1933, il cinema si interessò in modo particolare al tema della pace. Le crisi molteplici, economiche e politiche, che si susseguivano dopo l’esplosione del “crack” di Wall Street, esigevano anche dal cinema una presa di posizione, una risposta nuova. Fu così che, dopo centinaia di film militaristi e bellicisti, apparvero sugli schermi opere inconsuete e originali, le quali prendevano posizione contro la guerra e per la pace. Milestone con All Quiet on the Western Front negli Stati Uniti, Pabst con Westfront 1918 in Germania, si pronunciarono in questo senso, anche se talvolta in modo limitato e confuso. Assai più logico e conseguente fu Victor Trivas, che di Pabst era stato assistente, e che con Niemandsland creò uno dei film pacifisti più precisi ed efficaci di questo periodo. Niemandsland è nato da un’idea di Leonhard Frank. Ciò è sufficiente a situarne l’origine, perché è noto che Franck fu tra i pochi scrittori tedeschi che, nel 1914, presero posizione contro la guerra imperialista. […]. Niemandsland si diversifica dagli altri film pacifisti del periodo ’29-’33 per l’originalità e l’ampiezza della sua impostazione e della sua soluzione. Esso non si limita a denunciare gli orrori della guerra, a protestare sentimentalmente contro il massacro; non si limita a definire la guerra imperialista come immorale, assurda e bestiale: Niemandsland precisa le cause del conflitto, e ne indica la soluzione. […] Niemandsland è la storia di cinque uomini – un operaio francese, un falegname tedesco, un intellettuale inglese, un sarto ebreo e un attore negro – i quali si trovano, dopo una battaglia, in un blockhouse, isolati e sottoposti al fuoco delle rispettive artiglierie. Questi uomini, di cui il film aveva precedentemente tratteggiato la vita civile e le aspirazioni, il carattere e la psicologia, ora possono parlarsi e scoprono che nulla li spinge a sgozzarsi. L’urto delle varie posizioni iniziali, la discussione, il chiarimento, costituiscono la pane centrale del film; dalla quale proromperà la finale: i cinque uomini riprendono le anni, ed escono in campo aperto; abbattono i reticolati, e avanzano.
Viene la didascalia di chiusura, che è, semplicemente, “la paix”. Questo finale richiama spontaneamente il parallelo con quelli, di assai dive o carattere, dei film di Milestone e Pabst. In Westfront 1918, per esempio, dopo la battaglia-macello, il regista porta la sua camera in quell’atroce ospedale da campo ove brulica, martoriata, un’umanità che si incontra solo nella morte; in Pabst la fratellanza nasce solo al limite estremo, oltre il quale v’è unicamente la morte. E la didascalia di chiusura è rivelatrice e tipica: “Ende?”.
Pare quasi che Trivas sia anche in polemica con questo interrogativo sfiduciato, allorché appone a suggello di Niemandsland la propria soluzione, affermativa e fiduciosa. Con quale slancio i suoi protagonisti fanno a pezzi i reticolati che vorrebbero dividerli! È lo stile stesso dell’opera, focoso e tumultuoso, allorché la situazione, acutizzatasi, lo richiede; e con lo stesso calore umano e la stessa intelligenza di cui è altrettanto dotato nei momenti di lirica stasi e patetica sospensione”. (Glauco Viazzi, Cinema, n.61, maggio 1951).