NAPOLI CHE CANTA
R.: Mario Almirante. F.: Massimo Terzano, Ubaldo Arata. Scgf.: Giulio Boetto. M.: Ernesto Tagliaferri. C.: Atelier Robiolo. Post-sinc.: Guglielmo Zorzi. In.: Malcolm Tod (Genny D’Ambrosio), Anna Mari (Alice Baldwyn), Lillian Lyl (Carmela), Giorgio Curti (Taniello), Carlo Tedeschi, Nino Altieri. P.: Fert, Torino. Distr.: Pittaluga. L.: 2013 m., D.: 70’ a 24 f/s.
Scheda Film
“Fin dalle prime immagini incontriamo la doppia cifra stilistica di questo film, perduto e ingiustamente sottovalutato per lunghi anni: il connubio inedito fra immagini e suono – il film era stato girato, muto, nel 1927 e mai distribuito – e il tema, italianissimo del contrasto fra ‘modernismo’ – la convulsa e superficiale vita dell’upper class metropolitana di New York – e sane tradizioni, identificate con la passionalità e i sentimenti veraci della più classica Napoli.
La storia, pur se articolata nei codici della commedia – non mancano i tentativi di innestare sul tronco sperimentato della commedia sentimentale i motivi tipici della sophisticated comedy statunitense – e senza elevarsi più di tanto oltre i limiti dell’opera di genere, suggerisce tuttavia interessanti analogie tematiche con il più tardo rosselliniano Viaggio in Italia: una coppia – nel film di Almirante ancora solo fidanzati – parte dagli States per Napoli, per quella che dovrebbe essere solo una vacanza e che si rivela invece un’esperienza decisiva, che conduce alla scoperta di una verità profonda su se stessi e sui valori e il senso dei sentimenti e della vita.
La riedizione, nel cruciale momento di passaggio, ancora in fase sperimentale, dal muto al sonoro, mostra i segni evidenti di una ricerca accurata: nessun tentativo – come ne troviamo in altri lavori di post-sincronizzazione – di posticcia e abborracciata sincronizzazione fra articolazione labiale e dialoghi (una sola scena, nel finale, con ogni evidenza fu girata ex-novo, per presentare l’unico dialogo con i due protagonisti in primo piano) e, invece, un lavoro accorto per aggiungere coerentemente alle immagini e alle didascalie il massimo possibile di senso attraverso suoni, voci, rumori e musiche.
Il restauro è stato effettuato a partire da un controtipo – incompleto – e da un lavander dell’epoca (1926) e dal negativo – colonna ottica: quest’ultimo, purtroppo, mancante di un rullo, che è stato lasciato muto nell’edizione definitiva”.
Mario Musumeci