LA STORIA DI UNA DONNA
S. e Sc.: Amleto Palermi. F.: Antonino Cufaro. In.: Pina Menichelli (Beatrice), Luigi Serventi (Paolo), Livio Pavanelli (Fabiano). P.: Rinascimento-Film. 1290m. l.o.: 2000m. 35mm.
Scheda Film
Edizione stabilita a partire da una copia positiva imbibita e virata con didascalie francesi e fiamminghe conservata dalla Cinémathèque Royale Belge e da una copia positiva imbibita e virata conservata dalla Cinemateca Brasileira di San Paolo. Le due copie differivano profondamente soprattutto per l’assoluta diversità delle didascalie. Nella versione brasiliana tutta la storia è raccontata attraverso le pagine di un diario, mentre in quella belga attraverso didascalie che riportano discorsi diretti. Così il ritmo e la percezione del racconto mutano completamente, benché il montaggio e gli avvenimenti siano identici. Il restauro della Cineteca del Comune di Bologna è stato volto a conservare e ove possibile ricostruire la narrazione attraverso il diario. “Storia di una donna, ovvero storia di una donna fatale: storia di come dietro ogni vamp si nasconda forse un passato infelice. Rispetto ad una galleria di belles dames sans merci, il film di Perego e Palermi funziona da excusatio, produce una genealogia dell’immoralità, serve da postilla giustificatoria in calce ad un intero genere. Che cosa ha condotto la donna senza nome alla sua vita indifferente e crudele? Troviamo, nell’ordine: un convento delle Orsoline, una madre snaturata, una contessa arcigna e sprezzante, un giovinastro viziato che la abbandona col grembo già gravato dalla colpa. C’è quanto basta. La sceneggiatura di Palermi trasforma questa fabula lineare in un intreccio articolato, ricorrendo all’espediente del diario (non so se il cinema italiano conoscesse precedenti in tal senso; certo l’esemplarità melodrammatica è tale che tutto, giovinezza, seduzione, confessione in punto di morte e soprattutto scrittura sembrano funzionare, almeno formalmente, come più tardi in un classico quale Lettera da una sconosciuta di Max Ophüls). Dal canto suo, la regia di Eugenio Perego aggiunge soprattutto due cose: un décor che nelle sequenze ospedaliere è spoglio, astratto, appiattito in un bianco e nero così prossimo all’allucinazione che vorremmo poterlo chiamare espressionista (mentre alle giapponeserie di casa Pavanelli potrebbe non essere stata estranea la visione di The Cheat, 1915); un’illuminazione che nell’oscurità prevalente isola oggetti bianchi, un vaso di fiori, un filo lungo di perle, la mano di Pina Menichelli (inquadratura bellissima) tesa ad implorare una pietà negata. Excusatio divistica non petita, ma certamente gradita, se Storia di una donna è uno dei più clamorosi sucessi di quegli anni: lo stesso Palermi ne produrrà un remake nel 1928, protagonista Enrica Fantis, titolo Le confessioni di una donna”.
(Paola Cristalli, Cinegrafie, n.7)