LA PORTA DEL CIELO
Scen : Cesare Zavattini, Diego Fabbri, Vittorio De Sica, Adolfo Franci, Carlo Musso F : Aldo Tonti M : Mario Bonotti Scgf : Salvo D’Angelo Mus : Enzo Masetti Su : Mario Amari Int : Marina Berti (la crocerossina), Elettra Druscovich (Filomena, la governante), Giuseppe Forcina (l’ingegnere), Massimo Girotti (il giovane cieco), Giovanni Grasso (il commerciante paralitico), Roldano Lupi (Giovanni Brandacci, il pianista), Maria Mercader (Maria), Carlo Ninchi (accompagnatore del cieco), Elli Parvo (signora provocante) Prod : Corrado Conti di Senigallia, Salvo D’Angelo per Orbis Film Pri pro : 15 febbraio 1945 35mm D : 85’ Bn
Scheda Film
Le riprese del film si prolungarono per tutto il periodo dell’occupazione nazista. A un certo punto eravamo però veramente agli sgoccioli. Avevo paura che le SS ci pigliassero tutti e ci mandassero in campo di concentramento per far finire la buffonata. […] Stavamo girando in esterni a San Paolo. Si avvicina il ciacchista. Erano circa le cinque del pomeriggio. “Dottore, si comincia a girare?”, mi chiede. Io rispondo con la solita domanda che facevo da mesi: “Sono tutti riposati?”. Il ciacchista stava per dire non so cosa quando mi sembra di udire un brontolio in lontananza. Faccio mente locale sulla direzione e capisco che è proprio quella giusta, dove stanno gli angloamericani. Quelli erano i loro cannoni.
Allora lancio un urlaccio che fece balzare tutti in piedi. “Sono mesi che non fate niente! Questo film deve finire! È una porcheria! Vi insegnerò io a muovervi!”.
Vittorio De Sica, intervista di Armando Stefani, Per salvarmi dalle ‘SS’ girai un ‘Kolossal’, “T7”, 6 luglio 1969
La porta del cielo narra di miracoli. Il primo miracolo – mi sembra – è lo stesso film, portato a termine dopo sette mesi di lavorazione attraverso incredibili difficoltà. […] Basterà ricordare che il 3 giugno scorso, mentre a pochi chilometri di distanza si decideva la battaglia per Roma, ottocento tra comparse e tecnici vari erano agli ordini del regista nell’interno della basilica di San Paolo, intenti a girare, dimostrando un disprezzo per la guerra che soltanto Archimede avrebbe condiviso. “Li avevo chiusi a chiave – racconta De Sica – altrimenti qualcuno scappava”. E ride come di uno scherzo riuscito.
[…] Un treno ‘bianco’ parte alla volta di Loreto col suo carico di infermi. Tra questi un ragazzo, un vecchio commerciante, una ragazza, un pianista, una vecchia domestica, un giovane cieco: tutte persone che tentano il viaggio animati da una segreta speranza: il miracolo. Vedremo poi che il miracolo non ci sarà, ma tutti avranno trovato in quel pellegrinaggio, al contatto con l’infelicità altrui, la fede necessaria per sopportare la propria. […] De Sica sa portare nelle sue opere quel tanto di vivo e di osservato, che fa la loro fortuna. Era facilissimo sbagliare questo film trincerandosi dietro la nobiltà dell’assunto: De Sica non l’ha fatto perché è riuscito a rimanere se stesso. Quel bambino che viene issato a braccia nello scompartimento e che sorride scusandosi della sua infermità, quelle giovani viaggiatrici che sottolineano l’arrivo del treno a Napoli cantando nostalgicamente – come tante volte ci è accaduto di veri care nella realtà –, quel sordido vicolo meridionale, la finta allegria del cieco, sono tutti motivi fermati con occhio sensibile e che fanno la grazia del film, dando verità all’azione, impedendo il fiorire della retorica.
Ennio Flaiano, La porta del cielo, “Domenica”, n. 18, 6 maggio 1945, ora in Lettere d’amore al cinema, Rizzoli, 1978