IL GATTO A NOVE CODE

Dario Argento

Sog.: Dario Argento, Luigi Collo, Dardano Sacchetti. Scen.: Dario Argento. F.: Enrico Menczer. M.: Franco Fraticelli. Scgf.: Carlo Leva. Mus.: Ennio Morricone. Int.: James Franciscus (Carlo Giordani), Karl Malden (Franco Arnò), Catherine Spaak (Anna Terzi), Pier Paolo Capponi (commissario Spimi), Horst Frank (dottor Braun), Rada Rassimov (Bianca), Aldo Reggiani (dottor Casoni), Carlo Alighiero (dottor Calabresi), Vittorio Congia (fotografo Righetto), Tino Carraro (professor Terzi). Prod.: Salvatore Argento, Seda Spettacoli, Mondial Te.Fi. – Televisione Film, Labrador Films, Terra Filmkunst. DCP. D.: 112’. Col.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

I primi film di Dario Argento – quelli appartenenti alla cosiddetta ‘trilogia degli animali’ – andrebbero visti in una prospettiva più aderente all’epoca in cui sono stati realizzati, e meno dipendente dalla successiva canonizzazione del regista quale maestro internazionale del thriller-horror. Il gatto a nove code non fa, sotto questo punto di vista, eccezione. Vi ritroviamo alcuni elementi destinati poi a fare la fortuna di Argento, configurandosi nel tempo come vere e proprie tracce autoriali: in primo luogo le lunghe soggettive dell’assassino in movimento, intervallate da primissimi piani della sua pupilla, che fungono da luogo d’innesco ed elaborazione della suspense. Poi il motivo metatestuale del rompicapo, del mistero da sciogliere […]. Infine le citazioni hitchcockiane, che qui si concretizzano in un preciso riferimento intertestuale alla celebre scena del bicchiere di latte in Il sospetto (1941).
Ma nel Gatto a nove code c’è di più, molto di più. C’è, ad esempio, un senso acuto di alienazione urbana che attraversa il film da cima a fondo, facendo costantemente da sottotesto alla vicenda. Emerge in primo luogo sul piano figurativo, attraverso il gusto per certe riprese stranianti che fanno dell’architettura, delle sue geometrie più algide, una sorta di metafora della solitudine metropolitana. Sul piano narrativo, il tema della solitudine costituisce l’anima sommersa del film, a partire dalla quale è possibile leggere in filigrana tutta la vicenda. […] La società raccontata da Argento è in sintesi attraversata da monadi umane le cui traiettorie si incrociano in modo occasionale e quasi sempre dettate da circostanze poco nobili: avidità, rancore, paura.

Leonardo Gandini, in Argento vivo. Il cinema di Dario Argento tra genere e autorialità, a cura di Vito Zagarrio Marsilio, Venezia 2008

La sequenza del cimitero è molto bella, tesa, sorprendente, ironica. Con quella scena ho inaugurato la serie di quelle che io definisco ‘sequenze lunghe’. Lunghe perché durano anche mezz’ora. Sono costruite alla perfezione, con lunghi ed estenuanti crescendo. […]
La tecnica della ripresa in soggettiva era un tipo di ripresa che avevo largamente usato per L’uccello dalle piume di cristallo. Applicarla nuovamente per questo film è stato come proseguire un mio percorso evolutivo. Il gatto a nove code è un film di transizione perché mi ha permesso di esaminare bene i miei mezzi. Ho cercato di capire i miei limiti e le mie possibilità, come un buon atleta che sperimenta se riesce a reggere le lunghe distanze e capire quindi la sua specialità.

     Dario Argento, Confessioni di un maestro dell’horror. Un libro intervista di Fabio Maiello, Alacrán Edizioni, Milano 2007

Copia proveniente da

Restaurato nel 2017 da Arrow Films presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata a partire dal negativo camera originale conservato presso Intramovies