HANNO RUBATO UN TRAM
(Il film fu iniziato da Mario Bonnard – e molti testi continuano ad attribuirgli la regia – poi sostituito). Aiuto Regia: Sergio Leone. S.: Luciano Vincenzoni. Sc.: Mario Bonnard, Ruggero Maccari, Aldo Fabrizi. F.: Mario Bava. Mu.: Carlo Rustichelli, dir. Alberto Paoletti. M.: Maria Rosada. Scgf.: Flavio Mogherini. Dir.P.: Paolo Frascà. Ass. R.: Sergio Leone. Isp.P.: Mario Gabrielli. S.ed.: Silvana Mangini. Op.: Corrado Bartoloni. Fonico: Ovidio Del Grande. In.: Aldo Fabrizi (Cesare Mancini), Carlo Campanini (Bernasconi), Lucia Banti (Marcella, figlia di Mancini), Juan De Landa (Rossi), Lia Rainer (Teresa), Mimo Billi (caposervizio), Bruno Corelli (il pretore), Alvaro Alvisi (il fidanzato di Marcella), Bruno Magoni, Oreste Biavati (l’avvocato), Fernanda Giordani (la suocera), Armando Guatti, Zoe Incrocci, Aldo Pini, Bruno Lanzarini (il Pubblico Ministero), Leontina Zucchelli (noleggiatrice di biciclette), Anna Zamboni, Franco Lannicci (Nino), Libero Grandi, Teresa Moggi, Eugenio Galadini. P. Luigi Rovere per Imperial Film. 35mm. D.: 90’ca. a 24 f/s.
Scheda Film
“Fabrizi è un simpatico e bonario conducente di un tram di Bologna. Il film narra le sue disavventure causate dalla rivalità esistente fra lui e il caposervizio Rossi che non riesce a perdonargli la sua supremazia nel gioco delle bocce. L’antipatia del caposervizio si muta presto in persecuzione che crea nel povero tranviere uno stato d’animo tale da farlo incappare in un sacco di incidenti per i quali viene prima punito, poi retrocesso di grado, infine sospeso temporaneamente dal servizio. Disperazione del buon Fabrizi il quale finisce una notte per rubare un tram e condurre in giro gratis un gruppo di passeggeri. Ma in Pretura tutto naturalmente finisce per accomodarsi” (L’uomo qualunque, 30 marzo 1955). è Bologna la vera protagonista di questo piccolo film diretto, oltre che interpretato, da Aldo Fabrizi. Una città allora quasi inedita per il cinema e che soprattutto oggi affascina e stupisce grazie alla sorprendente fotografia di Mario Bava. Essa ci restituisce prospettive e architetture delle vie del centro e della prima periferia, scorci notturni di indubbia suggestione facendo della città ben di più che una semplice cornice. Lo spettatore che conosce la città scoprirà una topografia un po’ fantasiosa e sconvolta dal montaggio (strade che sfociano in piazze nella realtà altrove..). Tutti gli esterni del film furono infatti girati a Bologna nell’autunno del 1954 insieme ad alcuni interni nelle sale dell’ATM (Azienda Tranviaria Municipale) dove si svolgono vari episodi. La partecipazione della città non si fermò qui: bolognesi improvvisatisi attori si prestarono in parti minori ma essenziali per la caratterizzazione patetico-farsesca della pellicola specialmente per le schermaglie di carattere regionalistico con il protagonista romano. Affiancano quest’ultimo la spalla Carlo Campanini e l’antagonista Juan de Landa (il caposervizio, soprannominato “Testa di cane”) in quello che venne definito uno scontro di panzoni. Il ruolo di tranviere non era affatto nuovo per Fabrizi sia nel cinema (in Avanti c’è posto del 1942) sia nell’avanspettacolo. L’episodio, da cui il titolo, è ispirato ad un fatto di cronaca, di cui forse era a conoscenza persino Buñuel, dal momento che un’analoga storia è raccontata quasi identica nel film messicano da lui diretto La ilusion viaja en tranvia, girato nel 1953 e mai distribuito in Italia.
Paolo Simoni
“Ma è nel 1954 che Fabrizi potè sviluppare ulteriormente la figura del tranviere interpretando, scrivendo e dirigendo il film Hanno rubato un tram, nel quale Cesare Mancini, tranviere conducente declassato a fattorino, dichiara al proprio capo che lo bersagliava senza pietà: “Io prima di essere un tranviere sono un uomo e come uomo le dico…” guadagnandosi una sospensione per tre mesi. Le stesse piccole battaglie personali, le medesime rivalse di classe in una quotidianità spicciola, quelle che animano le scenette di Fabrizi compreso quello sketch intitolato I tranvieri della città che venne respinto dalla censura nel ’43. In quegli anni le tante lettere degli ammiratori sottolineavano proprio quel riconoscersi nei personaggi di Fabrizi, quella sua aderenza alla vita che non teneva conto, caparbiamente, dell’inconsistente e amorfa spavalderia dell’epoca, quel suo modo ancora governato dalle leggi del cuore”.
Maria Cielo Pessione, Aldo Fabrizi, cuore di tranviere