GEFAHREN DER BRAUTZEIT

Fred Sauer

Sc.: Walter Wassermann, Walter Schlee. F.: Laszlo Schaffer. Scgf.: Max Heilbronner. In.: Marlene Dietrich (Evelyne), Willi Forst (Barone von Geldem), Lotte Lorring (Yvette), Elza Temary (Florence), Ernst Stahl-Nachbaur (Mc-Clure), Bruno Ziener (Miller). P.: Strauss-Film. D.: 75 (2183 m.). 35 mm.

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

È impressionante rivedere oggi Gefahren der Brautzeit, melodramma soffuso di erotismo, diciassettesima prova attoriale di una Dietrich molto diversa dai clichés che l’hanno resa nota: il personaggio di Marlene era ancora da costruire. Realizzato tra Das Schiffder verlorenen Menschen e Der blaue Engel, il film è ricordato nelle filmografie della Dietrich soltanto penché durante le riprese tentò inutilmente di ottenere il ruolo di Lolù che sarebbe poi stato assegnato a Louise Brooks. Del film il Nederlands Filmmuseum ha ritrovato la versione italiana, distribuita nel 1932 e quindi sonorizzata, con musiche molto banali.

Questo film ha costituito per molto tempo un vero e proprio rompicapo per gli estensori della filmografia della Dietrich, quali spesso lo hanno citato due volte, la prima come Gefahren der Brautzeit nel 1926, prendendo per buona la notizia della prossima realizzazione apparsa sulla stampa professionale di quell’anno e, di nuovo, nel 1929, indicandolo come Liebesnächte, che è, paradossalmente, una variante di Eine Nacht der Liebe, titolo dato al film quando, finalmente, si era giunti alla sua realizzazione, alla fine del 1928. Una volta completato, il titolo divenne Liebesbriefe, poi cambiato, al momento di sottoporlo alla censura, nel definitivo Gefahren der Brautzeit. Lanciato come “melodramma moderno di un Don Giovanni” e presentato in prima visione al Roxi-Palast di Berlino il 21 febbraio 1930, il film ebbe un’accoglienza piuttosto tiepida, che però venne riscaldandosi nelle seconde visioni, dopo che ad aprile era apparso Der blaue Angel ed il nome della Dietrich era divenuto celebre. Agli inizi del 1932, assieme a Disinganno o il bacillo dell’amore (lch küsse ihre Hand, Madam, 1929) e L’enigma (Die Frau, nach der man sich sehnt, 1929), il film, con il titolo La sconosciuta, venne importato in Italia, sull’onda del successo riportano anche nel nostro paese dal film di Sternberg. La critica lo accolse piuttosto bene: “[…] Il soggetto de La sconosciuta va annoverato tra quei pochi che tengono avvinta l’attenzione dello spettatore, non lasciandogli indovinare quale sarà la conclusione. […] Marlene Dietrich sostiene una delle prime parti di responsabilità della sua carriera, sia fisicamente che artisticamente, è sempre molto a posto: la sua apparentemente scarsa mutevolezza d’espressione è dovuta al severo controllo cui l’artista sa sottopor re ogni atteggiamento del volto: non sguardi fatali o smorfie antiestetiche, ma una composta e calma espressività che consegue effetti mirabili e che è l’unico vero punto di contatto tra Marlene Dietrich e Greta Garbo”. Così A. Albertazzi su Il cinema italiano (1.3.1932), mentre F.T. su La rivista cinematografica (30.3.1932) ritiene che “il film si raccomanda per due elementi essenziali: l’intreccio avvincente e la fotografia assolutamente perfetta senza dimenticare l’interpretazione di Marlene, qui alle sue prime armi: non è ancora la donna fatale di Disonorata, ma già dalle sue pupille, dalla sua figura, promana la malia che il talento di Sternberg doveva ben presto imporre imperiosamente all’ammirazione del pubblico. E non è detto che fisicamente non riesca quasi preferibile a quella che abbiamo conosciuta nelle successive interpretazioni!”. Un’ultima nota: la censura italiana fece sopprimere la scena in cui Florence Miller (l’attrice Elza Temary) si ritira seminuda, fuggendo nella camera del barone Von Geldern, e quella di allettamento che precede la scena stessa.

(Vittorio Martinelli)

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