Distant Drums

Raoul Walsh

T. it.: Tamburi lontani. Scen.: Niven Busch, Martin Rackin. F.: Sid Hickox. Mo.: Folmar Blangsted. Scgf.: Douglas Bacon. Mu.: Max Steiner. Su.: Oliver S. Garretson. Int.: Gary Cooper (capitano Quincy Wyatt), Mari Aldon (Judy Beckett), Richard Webb (tenente Richard Tufts), Ray Teal (soldato Mohair), Arthur Hunnicutt (Monk), Robert Barrat (generale Zachary Taylor). Prod.: United States Pictures, Warner Bros. Pictures. Pri. pro.: 29 dicembre 1951 35mm. D.: 101’. Col. 

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T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Questo è il genere di film – o addirittu­ra il film – capace di segnare un’infan­zia, compresa la mia, con la travolgente sensazione di trovarsi nel mezzo dell’ ‘av­ventura più emozionante della vita’. Di­stant Drums definiva tante cose: il senso dell’avventura e del cinema, dell’azione e della meditazione, dello spettacolo e del silenzio. La trama (libero adattamento di Obiettivo Burma!, come Gli amanti della città sepolta lo era stato di Una palottola per Roy) è ambientata nella Florida del 1840 e narra il viaggio non verso una terra promessa ma verso una terra fatta di ser­penti, coccodrilli, vegetazione impenetra­bile. La storia è raccontata con un grande senso dell’avventura, attraverso il movi­mento, lo strisciare silenzioso e furtivo, l’essere parte della natura, le sorprese e i rapidi momenti d’azione, spesso perico­losamente al limite tra la vita e la morte. Questo film sembra voler dichiarare cos’è un uomo vero (come dice nel film un gio­vane ufficiale, “Vidi l’uomo con cui avrei condiviso l’avventura più straordinaria della mia vita”), e quanto eccitante possa essere una vera donna. È realistico e in­sieme sognante. Il capitano Quincy Wyatt – “soldato, uomo delle paludi, gentiluo­mo, selvaggio” – è uno di quei personaggi di Gary Cooper i cui movimenti sembrano definire gli elementi primari dell’uomo, come gli elementi delle natura quali l’ac­qua e il fuoco. Jacques Lourcelles ne dà la descrizione migliore: “Questo perfetto eroe walshiano è dunque un solitario, ma senza malinconie o amarezze. Uomo tutto d’un pezzo, affidabile, capace di domi­nare i pericoli: questi tratti fisici e morali che caratterizzano le sue azioni neces­sitano di una narrazione chiara, lineare, senza virtuosismi, capace di colmare lo sguardo con una trascrizione plastica viva e appassionante, pienamente presente in questo film laconico e compiuto”.
(Peter von Bagh)

 

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