DETOUR

Edgar G. Ulmer

Sog.: dal romanzo omonimo di Martin Goldsmith. Scen.: Martin Goldsmith, Martin Mooney. F.: Benjamin H. Kline. M.: George McGuire. Scgf.: Edward C. Jewell. Mus.: Leo Erdody, Kimmy McHugh. Int.: Tom Neal (Al Roberts), Ann Savage (Vera), Claudia Drake (Sue Harvey), Edmund MacDonald (Charles Haskell), Tim Ryan (il proprietario del ‘Nevada’), Esther Howard (Holly), Pat Gleason (Joe). Prod.: Leon Fromkess per PRC Pictures, Inc.. DCP. D.: 67’. Bn.

info_outline
T. it.: Titolo italiano. T. int.: Titolo internazionale. T. alt.: Titolo alternativo. Sog.: Soggetto. Scen.: Sceneggiatura. Dial.: Dialoghi. F.: Direttore della fotografia. M.: Montaggio. Scgf.: Scenografia. Mus.: Musiche. Int.: Interpreti e personaggi. Prod.: Produzione. L.: lunghezza copia. D.: durata. f/s: fotogrammi al secondo. Bn.: bianco e nero. Col.: colore. Da: fonte della copia

Scheda Film

Edgar Ulmer è il più misconosciuto dei cineasti americani e pochi dei miei colleghi potrebbero vantarsi di aver visto quei pochi tra i suoi film che sono usciti in Francia, tutti sorprendenti per freschezza, sincerità e novità […]. Questo viennese, nato con il secolo, assistente prima di Max Reinhardt e poi del grande Murnau, non ha avuto fortuna a Hollywood, per mancanza probabilmente di capacità di venire a patti con il sistema. Il suo humor disinvolto, la sua bonomia e la sua tenerezza per i personaggi che dipinge fanno irresistibilmente pensare a Jean Renoir e Max Ophuls.

François Truffaut

Detour è una sorta di road movie interiore. Lo sventurato protagonista sembra reinterpretare in chiave beffarda il viaggio verso ovest di certi galanti cowboy dei western di qualche decennio fa. Come molti altri film noir, Detour adotta la narrazione per flashback. Nel presente il gioco è ormai fatto, e il protagonista ha perfino qualche cadavere sulla coscienza. Tutto è indirettamente ma inevitabilmente conseguenza di ‘una mancanza di libero arbitrio’.

Il film può essere definito come un mystery in puro stile. In giganteschi primi piani, le immagini banali di uno squallido bar si fanno minacciose e irreali: luci spente, una tazza di caffè, un jukebox.

I personaggi sono un capitolo a parte. Se paragonate a Vera (Ann Savage), le altre donne fatali del noir, compresa Barbara Stanwyck, sembrano candide scolarette. Tom Neal, che interpreta il protagonista, nella realtà fu veramente accusato di omicidio colposo. La donna che incrocia nell’oscurità di un’autostrada intuisce che si tratta di un uomo che ha trascorso molte notti nei meandri di un vagone merci.

La breve relazione tra i due è tutta un programma. Dopo il risveglio in un motel naturalmente nasce una dipendenza, una relazione contorta, un rovesciamento perversamente perfetto di una storia d’amore. Il mondo è saturo di crimini senza moventi (il denaro è “un pezzo di carta che brulica di germi”), l’assurdità delle relazioni umane è irreversibile: alla fine il sospetto responsabile di un omicidio è un morto, la cui identità è assunta dall’‘eroe’…

Memorabile è anche la morte di Vera: strangolamento accidentale con un filo del telefono, quasi a sbeffeggiare le comunicazioni umane e i loro strumenti. La macchina da presa si muove nella stanza, dentro e fuori, come oscillando tra vita e morte. È vedendo immagini come questa che l’epoca dei  b-movies comincia a mancarci da morire.

Peter von Bagh, Road movien ei-tästä-edemmäksi [Il Non plus ultra dei road movie], in Peter von Bagh, Rikoksen hehku [Il cuore del crimine], a cura di Antti Alanen, Otava, Helsinki, 1997

Copia proveniente da

Restaurato nel 2018 da Academy Film Archive e The Film Foundation in collaborazione con Cinémathèque Royale de Belgique, MoMA – The Museum of Modern Art, Cinémathèque française grazie al contributo di George Lucas Family Foundation