Der Letzte Akt
T. it.: L’ultimo atto. T. int.: The Last Ten Days. Scen: Fritz Habeck. F.: Günther Anders. M.: Herbert Taschner. Mus.: Erwin Halletz. Int.: Albin Skoda (Adolf Hitler), Oskar Werner (Hauptmann Wüst), Erik Frey (generale Burgdorf), Herbert Herbe (generale Krebs), Kurt Eilers (Martin Bormann), Hannes Schiel (tenente colonnello SS Günsche), Willy Krause (Joseph Goebbels), Otto Schmöle (colonnello generale Jodl), Hermann Erhardt (Hermann Göring). Leopold Hainisch (feldmaresciallo Keitel). Prod.: Carl Szokoll per Cosmopol-Film GmbH
35mm. Bn. D.: 113′.
Scheda Film
All’origine di Der letzte Akt c’era un libro scritto da un giudice del tribunale militare di Norimberga, Michael Musmanno, il quale aveva raccolto un’estesa documentazione sugli ultimi giorni di Hitler. La stesura della sceneggiatura fu affidata a Erich Maria Remarque. Ovviamente il film fu molto controverso: i conservatori vi videro un tentativo di lucrare sui sentimenti anti-tedeschi, la sinistra temeva possibili nostalgie naziste.
Der letzte Akt, insieme all’altro film di Pabst Accadde il 20 luglio, prestava il fianco alle accuse e aveva in comune con altri film della Germania Ovest la discutibile tendenza a fare di Hitler e della sua cerchia gli unici responsabili di tutto. Questi film descrivevano nei dettagli il crescente degrado psicologico e la condotta incostante di poche menti criminali, senza le quali non sarebbe successo niente di così catastrofico perché la maggioranza dei tedeschi erano brave persone. Il protagonista standard di questi film era il ‘buon tedesco’, qui interpretato da Oskar Werner.
Pabst riesce a creare un’atmosfera claustrofobica (lo spazio opprimente del bunker, la sua strana illuminazione, i soffitti bassi, la danza delle ombre sulle pareti) con il repertorio stilistico che lo ha reso famoso. Il risultato è un film psicologico ma anche una visione apocalittica del crollo di un’élite, con forti sfumature ironiche.
Marc Silberman ha scritto che il progetto originale “avrebbe dovuto trasformare Hitler in un eroe tragico elisabettiano che, monologo dopo monologo, sarebbe giunto infine a scontare la propria hýbris nell’ultimo atto eponimo. Un usurpatore come Riccardo III, un assassino come Macbeth ma senza rimorsi o sensi di colpa, questo è l’Hitler che con la sua tragedia produce la disintegrazione del mondo che lo circonda. Pabst, incapace di portare a compimento la dimensione tragica del suo materiale, si rifugia nel melodramma, che è una forma di tragedia riduttiva”. Eppure molto rimane: questo è il miglior film realizzato da Pabst nel secondo dopoguerra insieme ai due titoli degli anni Quaranta, Il processo e Profondità misteriose.
Peter von Bagh