CAROSELLO NAPOLETANO
Scen.: Ettore Giannini, Giuseppe Marotta, Remigio Del Grosso. F.: Piero Portalupi. M.: Nicolò Lazzari. Scgf.: Mario Chiari. Mus.: Raffaele Gervasio. Int.: Léonide Massine (Antonio Petito, Pulcinella), Achille Millo (figlio di Pulcinella), Clelia Matania (donna Concetta Esposito), Paolo Stoppa (Salvatore Esposito), Maria Fiore (donna Brigida), Tina Pica (Capera), Maria Pia Casilio (Nannina, ragazza del bacio), Giacomo Rondinella (Luigino), Sophia Loren (Sisina). Prod.: Carlo Ponti per Lux Film DCP. D.: 129’
Scheda Film
Di tutta la produzione musicale del cinema degli anni Cinquanta questo film è l’unico – per rigore e felicità nell’invenzione scenografica e coreografica, ricchezza di costumi (di Maria de Matteis) legami forti con la tradizione musicale, integrazione perfetta tra regia teatrale e cinematografica – in grado di competere, da pari a pari, con i grandi musical americani. Prendendo a motivo conduttore la storia della famiglia di un cantastorie ambulante (Paolo Stoppa), il cui albero genealogico si perde nel tempo – ma il cui spirito di adattamento, la cui forza, pazienza e gioia di vivere le consentono di resistere agli assalti dei pirati saraceni, alle devastazioni, alle guerre, alla fame, alla miseria e a tutte le avversità nel corso dei secoli – attraverso canzoni, luoghi, gesti, colori, maschere, Giannini cerca di portare sullo schermo l’anima della sua città.
Partendo da una canzone antichissima Michelemmà, per giungere fino alle otto e novecentesche Funiculì funiculà, Santa Lucia lontana, Partono i bastimenti, O vita, o vita mia, Quando spunta la luna a Marechiaro, mediante una sorta di grandioso song-book, di irripetibile intensità emotiva e culturale, il regista riesce a illuminare e a accompagnare, con un fantasmagorico gioco di luci e di suoni, di profumi e odori, l’epopea gloriosa e dolente della popolazione e della cultura e civiltà popolare partenopea. Che, a un certo momento della sua storia, trova il suo interprete e portavoce più significativo nella maschera di Pulcinella. Se il film tocca e fa vibrare ininterrottamente le corde dell’emozione dello spettatore, il culmine è rappresentato dalla morte di Antonio Petito tra le quinte del San Carlino e dal discorso del figlio al pubblico in sala: “Spettabile pubblico mio padre è morto. Ma mi ha lasciato la sua maschera perché Pulcinella non lo possiamo far morire”.
Grazie al cinema vi sono città che vivono e occupano un posto stabile nell’immaginazione collettiva. Col suo unico film, Giannini ha avuto il merito di fissare per sempre nella nostra memoria di spettatori del dopoguerra un quadro e uno spirito della città che, nonostante tutto, non possiamo riusciamo e vogliamo far morire.
Gian Piero Brunetta, “la Repubblica”, 18 novembre 1990