A LETTER TO ELIA
Sog.: Kent Jones, Martin Scorsese; F.: Mark Raker; Mo.: Rachel Reichman; Ass. op.: Douglas C. Hart; Su.: Bill Wander; Int.: Martin Scorsese, Elia Kazan; Prod.: Martin Scorsese, Emma Tillinger Koskoff come Emma Tillinger;. DCP. D.: 60’. Col
Scheda Film
Kent Jones: Abbiamo cominciato questo film mezzo decennio fa.
Martin Scorsese: Abbiamo cominciato a parlarne circa un anno dopo la morte di Kazan. Volevo fare qualcosa che rendesse onore a lui e a quello che ha rappresentato per la mia vita e per il modo in cui ho affrontato il mio mestiere, ma che fosse anche sincero, che riflettesse la sua sincerità a proposito di se stesso, e ti ho chiesto ti lavorarci con me.
KJ: Volevi riuscire a esprimere quello che non eri riuscito a dirgli quando era vivo…
MS: E questo alla ne è diventato in parte il tema del film. (…)
MS: Si trattava di comunicare qualcosa sul mio rapporto con i film, e questo significava tornare al modo in cui li avevo recepiti da adolescente, vedendoli per la prima volta.
KJ: E la distinzione tra il tuo rapporto con i film e il tuo rapporto con l’uomo, e il modo in cui vedevi quei film da ragazzo e il modo in cui li vedi ora. (…)
MS: Non ci si appassiona ai lm grazie agli angoli di ripresa o alle scelte di montaggio. I film coinvolgono. Si viene trascinati nel loro mondo, nelle vite interiori dei personaggi e nei loro conflitti. Poi si invecchia e si diventa più sofisticati, e allora si comincia a capire come i film vengano messi insieme da tanti elementi, come tutto si incastri alla perfezione. Così si diventa sempre più consapevoli del fatto che ciascun film è una serie di scelte. Ma poi, quando si comincia a fare film, si torna a riflettere sul perché di quelle scelte. Se si fanno film narrativi si parla di emozioni, di conflitti, si cerca di costruire un mondo nel quale i personaggi prendono vita e gli spettatori entrano in contatto con loro.
KJ: Ricordo che una volta mi hai detto di essere sempre più attratto dalla semplicità, nella tua opera e nei lm degli altri.
MS: Certo, ma in fondo si punta sempre a quello. Il verbo “dirigere” è strano e anche per certi versi sbagliato, ma in un senso è preciso: tu dirigi lo sguardo degli spettatori, la loro attenzione, da un momento al successivo, con tutti i mezzi. E sì, quando guardi qualcosa come la scena nel taxi tra Brando e Rod Steiger in Fronte del porto trovi quel genere di semplicità assoluta a cui aspiri. […] Nella sua autobiografia, Kazan dice che non ha realmente “diretto” quella scena, si è limitato a lasciarla accadere. Ha fatto alcune scelte con Boris Kaufman, ha lasciato che Brando e Steiger, che conoscevano già intimamente i loro personaggi, interagissero, e la scena ha preso vita. A volte la regia è questo: lasciare che le cose accadano, senza interferire.
Kent Jones