Asghar Farhadi al Cinema Ritrovato

“Ciò che differenzia i miei film rispetto a quelli degli altri registi è la combinazione di realtà e dramma”. Con questa frase si riassume tanto la poetica quanto la masterclass di Asghar Farhadi, tenutasi ieri al Modernissimo, in collaborazione con IFA e MAST. “In tutti i miei film il dramma è basato su dettagli della vita di tutti i giorni”, quegli stessi dettagli che danno vita alle “crisi” sulle quali il regista iraniano costruisce i suoi personaggi e i suoi film. “La fonte della crisi viene da qualcosa che è comune a tutti noi, per questo la gente di tutto il mondo pensa ‘potrebbe accadere anche a me’”. Un sentimento comune che può essere percepito e catturato solo “camminando in mezzo alle persone, vivendoci, vedendole”, ed è questo ciò che Farhadi esorta a fare, senza affidarci unicamente al “materiale di seconda mano” che ci offrono i media.
Il cineasta premio Oscar continua parlando del suo approccio al cinema: “Descrivo le situazioni senza alcun giudizio, affinché il pubblico possa arrivare a formulare la propria opinione […] Non importa che la pensino come me: l’obiettivo è quello di far pensare. Andare al cinema è come una catarsi, come quando si va a un funerale: a un funerale siamo pronti a pensare alle cose importanti, e il buon cinema secondo me fa esattamente questo”.
Non è pertanto una sorpresa quando inizia a parlare della sua vera passione: “Il cinema italiano era l’obiettivo finale”. Farhadi mostra una reverenza incondizionata nei confronti del patrimonio italiano, in particolare il periodo neorealista. Cita inoltre Amarcord di Federico Fellini come quel film che lo fa “emozionare al solo pensiero”; ma il suo cuore appartiene a Vittorio De Sica, in particolare a Il tetto – il suo preferito, tanto che confessa di rivederlo ogni sei mesi per non sentirne la mancanza.
Elia Santospirito, team del corso “Comunicare il cinema”, Cineteca di Bologna